L'ad di Teva Italia racconta il mercato italiano degli equivalenti Il comparto farmaceutico è un comparto solido in Italia secondo Nomisma: nel rapporto 2019 per Assogenerici si legge che il valore della sua produzione ha superato i 31 miliardi di euro (stime relative al 2017). Nonostante ciò, il segmento dei farmaci equivalenti, che negli ultimi 10 anni ha registrato una crescita a volume a cui, tuttavia, non ha corrisposto una costante crescita in valore, non è ancora riuscito a sfruttare a pieno il suo potenziale, soprattutto se rapportato alle quote di mercato conquistate nel resto dei Paesi europei. Hubert Puech d’Alissac è amministratore delegato di Teva Italia, azienda leader a livello mondiale di farmaci equivalenti: dal suo osservatorio privilegiato l’assetto del nostro mercato appare “anomalo”. “In Europa – ci ha detto – il rapporto è 63% generici e il resto originatori. In Gran Bretagna e Germania siamo addirittura più vicini al 90-95% dei generici e il 10% originatori, in Italia invece siamo al 30 per i generici e 70% per gli originatori e questo è molto strano”.In Italia, va detto, il brevetto su un farmaco di marca può durare fino a 20 anni, un periodo di tempo lungo, durante il quale non c’è competizione sul prezzo (il prezzo, in questo caso, tiene conto dei costi di ricerca e sviluppo del principio attivo oltre a tutti i costi di promozione e commercializzazione sul mercato di un prodotto nuovo e il periodo di esclusiva ne consente l’ammortamento). Nel momento in cui scade il brevetto, può iniziare la produzione degli equivalenti e dunque c’è un fisiologico aggiustamento al ribasso dei prezzi. Questo, però, non è sufficiente a far decollare la domanda, perché in Italia con i farmaci c’è un tema di fiducia nei confronti della marca, non piuttosto un tema di capacità di spesa. Lo si vede nella “grande differenza tra il Nord e sud Italia: la quota di mercato dei generici nel Nord Italia è più o meno il doppio rispetto al Sud – spiega Puech d’Alissac – e questo non è collegato alla capacità di acquisto perché in Germania, per esempio, c’è una quota di mercato molto importante per i generici ed è chiaro che il potere di acquisto in Germania è il più alto di tutti in Europa, dopo il Lussemburgo”. Questo trend, spiega ancora l’ad di Teva Italia “non è collegato alla capacità di spesa, ma all’abitudine. In Italia le persone amano molto i brand, è la ragione per cui facciamo di tutto per sviluppare il brand Teva. Noi siamo leader del mercato dei generici in Italia: un generico su 4 è nostro, è un volume molto importante. Ogni giorno vengono venduti più di 500mila prodotti Teva, questo vuol dire che c’è fiducia in noi ma abbiamo bisogno di lavorare per sviluppare di più questa fiducia e fare molta ‘education'”.Eppure l’industria dei farmaci equivalenti contribuisce a liberare risorse per il sistema sanitario pubblico: secondo dati Aifa tra il 2011 e il 2017 sono state 1,6 miliardi di euro le risorse liberate dall’introduzione sul mercato di nuovi farmaci equivalenti o biosimilari. In questo senso, per fare decollare questo mercato “4 anni fa – racconta l’ad di Teva Italia – abbiamo iniziato un lavoro di informazione medico scientifica con i medici di medicina generale per sviluppare la conoscenza dei farmaci equivalenti e per spiegare chi siamo, che lavoro facciamo. La gente pensa che i farmaci generici siano prodotti in Cina, in India: no, noi abbiamo circa 65 fabbriche nel mondo, 40 sono in Europa e altre sono negli Stati Uniti e anche in altri Paesi, inclusi Cina e India ovviamente perché siamo presenti anche lì, ma la partita più grande è in Europa”.Nel nostro Paese ci sono sei siti produttivi Teva, cinque di essi fanno principi attivi: “L’Italia è il primo Paese per noi, dopo Israele, in termini di principi attivi; l’80-90% dei principi attivi fatti in Italia sono venduti all’estero. Il che vuol dire che abbiamo il know how, che siamo competitivi”. Ma come si sviluppare un farmaco equivalente? “La ricerca per lo sviluppo di un farmaco equivalente inizia 7-4 anni prima del lancio di un prodotto sul mercato, perché abbiamo bisogno di lavorare partendo proprio dai principi attivi, come farli e migliorarli grazie all’innovazione che nel frattempo evolve. Perché nel tempo cambia il processo produttivo dei principi attivi, ricerca e sviluppo vanno sempre avanti. La ragione per cui siamo molto forti in Italia è che abbiamo 5 siti produttivi di principi attivi. La ricerca dei generici è una ricerca sul principio attivo, noi poi dobbiamo dimostrare che il nostro prodotto è lo stesso dell’originatore e che l’efficacia è la stessa. Per vendere noi abbiamo bisogno di dimostrare che il prodotto, a livello del sangue abbia lo stesso dosaggio del farmaco di riferimento”. Forse, ammette Puech d’Alissac, il cambiamento potrebbe partire dal nome. “In effetti – riflette – è l’unico Paese dove i generici si chiamano equivalenti perché il termine generico in Italia non ha un valore positivo. Dovremmo iniziare da qui, dal valore dei farmaci equivalenti”. Fonte: askanews.it
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